Riconvertiti sulla via del riarmo
Dopo la decisione tedesca sul riarmo, Giorgetti si scopre contrario allo scorporo delle spese per la difesa e Urso vuole riconvertire l'automotive al doppio uso militare e civile senza precisare da dove verrebbero i soldi.
La Germania ha rotto gli indugi. Ancora una volta, l’egemone riluttante d’Europa reagisce a una situazione di crisi con uno brusco scarto che rischia di mandare fuori strada il resto del continente. Dopo le decisioni di Angela Merkel di chiudere col nucleare dopo il disastro di Fukushima (che non fu un disastro nucleare), e l’accoglienza di 1,5 milioni di profughi siriani, ecco il suo successore e collega di partito, Friedrich Merz, che passa da uno stentoreo nein alle modifiche al cosiddetto freno al debito a un altrettanto stentoreo “fate presto” che produrrà, in un parlamento tedesco a poche ore dal termine della legislatura, la scrittura in costituzione di centinaia di miliardi di nuovo debito.
L’elefante tedesco nella cristalleria europea
Andando ancora più indietro nel tempo, fu il Cancelliere Helmut Kohl a decidere la conversione alla pari dei marchi dell’Est in quelli dell’Ovest, al momento della riunificazione tedesca. Ciò fece esplodere la massa monetaria costringendo la Bundesbank a una stretta che avrebbe finito col cacciare l’Italia dallo SME, col “mercoledì nero” del 16 settembre 1992.
La Germania è un peso massimo, i suoi movimenti creano scossoni continentali. Gli anelli deboli della catena, come il nostro paese, pagano dazio, per usare un termine di stretta attualità. E pare andrà così anche questa volta, col “liberi tutti” sulla spesa di riarmo, fortemente voluta dai tedeschi.
Questa scelta tedesca nasce dalla necessità non solo di proteggersi ma di rifondare il paradigma produttivo. Estremizzando il concetto: le auto vanno a morire? Usiamo la difesa per creare valore aggiunto, anche per le ricadute civili del cosiddetto dual-use. Ecco quindi che Rheinmetall, gigante tedesco della difesa, potrebbe acquisire due impianti Volkswagen.
Anche in Italia si è iniziato a parlare di riconversione dell’automotive. Lo ha fatto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e lo sta facendo quello del (fu) sviluppo economico, Adolfo Urso. Ma qui iniziano i problemi. Quanto costerebbe la riconversione? Con quali soldi? Giorgetti, ad un evento del suo partito, si è scagliato con qualche ragione contro i tedeschi che
[…] hanno deciso che fanno quel cavolo che gli pare. Siccome non va bene a loro adesso, fanno il contrario naturalmente senza aver negoziato nulla. Che improvvisamente si scopra che si devono spendere valangate di miliardi facendo debiti per la difesa è singolare, visto che la guerra ucraina c’è da tre anni.
Questa è, appunto, la presa di coscienza che, quando i tedeschi si muovono, il resto della compagnia deve adeguarsi, volente o nolente. Ma Giorgetti appartiene a quel governo che, per qualche tempo, ha spinto per usare le spese per la difesa come il mezzo per ridurre il morso del nuovo patto di stabilità. Ora, improvvisamente, i nostri eroi scoprono che il deficit è un problema. Certo, lo è. Ed è un problema anche non aver capito sinora che qualunque “scorporo” crea nuovo debito, che viene posto sotto osservazione dai mercati.
I tre gemelli Giorgetti
Ma ricordiamo che Giorgetti è quello che, circa un mese addietro, in un colloquio col Financial Times, argomentava in questi termini:
Dobbiamo essere realisti, e la realtà è che abbiamo una guerra in Europa. Dobbiamo prendere decisioni che considerino questa realtà.
Il gemello leghista del Giorgetti realista potrebbe osservare con malizia che questa dichiarazione è stata rilasciata esattamente tre anni dopo l’inizio della guerra. Ma il gemello realista, in quella intervista, riusciva a dissociarsi ulteriormente affermando, dopo aver premesso che “è un problema politico tagliare la sanità per finanziare la difesa”, che una soluzione poteva essere trovata nel bilancio Ue:
Se oggi tutti i paesi decidono che è importante aumentare la nostra spesa per la difesa, allora forse nel budget europeo potremmo aumentare questi fondi. L’Europa ha storicamente finanziato agricoltura, coesione, pesca. Se l’Europa decide che ora è importante, allora dovrebbe finanziare la difesa.
Sì, ma come? Tagliando altre spese, tra cui quelle sociali che uno dei tre gemelli Giorgetti ritiene problematico ridurre? Oppure con nuove risorse al bilancio comune a mezzo di altro debito? Non se ne esce.
Bene quindi l’epifania di Giorgetti, soldato obbediente al suo leader di partito. Speriamo se ne ricordi anche fuori dagli eventi leghisti. Ma il tema resta sul tappeto: fare deficit o diventare una colonia dell’industria della difesa dei paesi che hanno capacità fiscale. Uno, in particolare.
Urso e il doppio uso
Poi arriva Urso, che ha sempre idee meravigliose in testa, e che vuole la riconversione dell’automotive anche in Italia. Lo ha spiegato in una intervista al Messaggero del 16 marzo. Grandi ambizioni per settori che il ministro crede siano in qualche modo contigui a quello dell’auto, dando prova di una fantasia non comune:
A quali settori guardate?
A quelli più attinenti con la tipologia produttiva del comparto dell’automotive, in cui si prevede una crescita produttiva: dall’aerospazio alla blue economy, dalla cybersicurezza all’industria della difesa. Con due driver sempre presenti: tecnologia green e digitale.
La domanda però sorge spontanea: cosa riconvertiamo? Immagino Stellantis, in quanto unico produttore di auto nel paese, dopo aver archiviato sogni bagnati di cinesi in arrivo in forze da noi. La fila alla porta del Mimit si è dissolta. Manco un impianto cacciavite. E chi altri riconvertiamo? La componentistica, ovviamente. Ma c’è vera compatibilità o sono solo altri ed ennesimi sogni bagnati? Avremo sellerie e specchietti retrovisori per caccia e carri armati?
Urso, che è sempre molto costruttivo, propositivo ed immaginifico, vede una potente sinergia, in questa riconversione: il leggendario dual-use, cioè l’utilizzo di produzioni per finalità militari e civili:
Un microchip già adesso può servire per un’auto o per un satellite. La scheda elettronica funziona sia in un veicolo urbano sia in un elicottero. Il cingolato muove un trattore come un blindato che tutela i nostri militari in Libano. Del resto è una dinamica già in atto anche per alcuni grandi produttori di auto: Nissan ha avviato lo sviluppo di un rover lunare in collaborazione con l’agenzia spaziale giapponese, Toyota ne sta sviluppando uno con abitacolo pressurizzato, anche Audi ha costruito il suo Lunar Quattro partecipando al Google Lunar Xprize.
In teoria è vero, in pratica la facciamo un po’ troppo semplice. I costruttori citati non vivono di rover lunari, e comunque la creazione di nuova offerta in dati settori si scontra con le strutture di costo e la presenza di altri produttori consolidati.
Sopra ogni altra cosa, esistono dei costi di riconversione (e tempi della medesima, che a loro volta sono denaro) che andrebbero a carico delle casse pubbliche. Io comprendo il tentativo di preparare l’opinione pubblica e deflettere le critiche per la spesa “militare” invocando il dual use ma anche così servono soldi, e quei soldi da qualche parte devono essere trovati.
Ad esempio con nuovo deficit, o con taglio di altre spese. Anatema, ovviamente. Per tacere del fatto che, con buona pace del dual use, l’industria della difesa vive di commesse pubbliche, e non potrebbe essere altrimenti. Ma Urso è coerente, dopo tutto: per lui i chip di lavatrici e frigoriferi rappresentano materia di Golden Power, per la sicurezza nazionale. Quale dual use più eclatante di quello?
Noi italiani abbiamo peraltro una robusta tradizione di “riconversioni” abortite, dopo copiose erogazioni pubbliche ai faccendieri di turno. Con questo non intendo dire che resteremo ai margini del riarmo tedesco (abbiamo pur sempre Leonardo) ma solo che si fa presto a parlare di riconversioni, addirittura presentate da Urso come una pietra miliare di “politica industriale”. Questo povero concetto, così strattonato e vilipeso in Italia.
Vale sempre l’immortale massima di Enrico Cuccia: “articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto”. Dove “i soldi” è anche la capacità di fare debito.
Stato azionista d’acciaio
Chiusura con nota a margine: nella stessa intervista, Urso ipotizza che lo stato italiano possa assumere una partecipazione di minoranza affianco al vincitore dell'”asta” per l’ex Ilva. E motiva in questi termini:
Potrebbe mantenere una partecipazione di minoranza come chiede il Sistema Paese, sindacati, forze politiche e Federacciai, per garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti nei piani industriali che abbiamo chiesto ai player in gara e per raggiungere in cinque anni la piena decarbonizzazione, avanguardia produttiva e tecnologica in Europa.
Davvero una quota azionaria dello stato servirebbe per raggiungere gli obiettivi di produzione anche in caso di congiuntura avversa, ministro? O forse servirebbe per creare problemi alla nuova proprietà oppure foraggiarla in caso di bisogno? Passare dalle fiabe sul Golden Power per lavatrici all’assunzione di costose partecipazioni nel settore siderurgico non promette benissimo, per i contribuenti italiani.
(Immagine creata con WordPress AI)
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