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Francesco Gesualdi: “Ecco come superare la subcultura bellicista e capitalistica”

“Finché produrremo armi continueremo a scatenare guerre perché le armi sono prodotte per essere vendute e usate”.

di Laura Tussi da FARO DI ROMA

Ma davvero questa affermazione che ci ha regalato Francesco Gesualdi – attivista, saggista e fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo e, con il fratello Michele, allievo di Don Milani nella scuola della parrocchia di Barbiana – è così difficile da comprendere? Francesco Gesualdi, che ha dedicato tutta la vita ai diritti umani e alla lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile, è coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (PI), un centro di documentazione che si occupa di squilibri sociali e ambientali. Collabora con la rivista Altreconomia ed è il fondatore insieme a padre Alex Zanotelli della rete Lilliput. Questi percorsi nascono dall’esperienza formativa e dall’amicizia con il maestro e suo “padre adottivo” don Lorenzo Milani, che egli conobbe come allievo a Barbiana.

La nostra Laura Tussi lo ha intervistato per parlare con lui del dossier appena pubblicato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, dal titolo “Fermare le guerre, costruire la pace”.

Da quali intenti nasce questo dossier? e come analizza le guerre dalle più vicine (Ucraina e Gaza) alle più lontane (Sudan e Congo) ?

Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha pubblicato un dossier contenente una serie di proposte concrete per fermare la deriva bellicista attraverso misure economiche e sociali come la riconversione delle industrie di armi e l’utilizzo di strumenti come i Corpi civili di pace. Ne abbiamo parlato con Francesco Gesualdi in un discorso che ha toccato diversi punti, dalle guerre in corso agli obblighi costituzionali del nostro paese.

È partito tutto da una constatazione: il mondo è pericolosamente avviato su un sentiero di guerra. «Dal 2000 al 2023, la spesa mondiale per armamenti è triplicata passando da 800 a 2443 miliardi di dollari. Anche i conflitti armati sono cresciuti. Alcune guerre, come quella in Ucraina e a Gaza, ci sono più vicine, altre, come quella in Sudan e Congo, più lontane, ma sono tutte ugualmente distruttive e cariche di morte».

A parlare è Francesco Gesualdi del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, che proprio su questo tema ha recentemente pubblicato Fermare le guerre, costruire la pace, «un dossier – scaricabile dal sito del Centro – articolato in 13 schede illustrate, di facile lettura per tutti, compresi i ragazzi di scuola», spiega Gesualdi.

Si può dire che chi fomenta le guerre non va lasciato in pace?

Le guerre vanno fermate, anche se la vera sfida è prevenirle. La pace è un’esigenza primaria per l’umanità. Ma non viene da sola. Va costruita tessendo buone relazioni. Ossia liberandoci delle armi, eliminando la prepotenza economica, attuando la nonviolenza, creando un sistema internazionale capace di richiamare e fermare chi commette abusi.

Come è possibile spingere il potere su un cammino di pace?

Il nostro dossier approfondisce le scelte da compiere in ambito produttivo, economico, politico e difensivo per costruire la pace. Con una parte finale sulle iniziative che potremmo intraprendere, come cittadini, per spingere il potere su sentieri di pace.

La pace è un obbligo della Costituzione della Repubblica Italiana. Quindi come si può fermare la guerra?

Per l’Italia la ricerca della pace è un obbligo costituzionale. Deriva dall’articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli. La prima cosa da fare per costruire la pace è fermare la produzione di armi. Finché ne produrremo continueremo a scatenare guerre perché le armi sono prodotte per essere vendute. In altre parole hanno bisogno di un mercato che è rappresentato dalle guerre.

È possibile convertire a fini civili le maggiori industrie di armi in Italia? 

In Italia le principali industrie produttrici di armi sono Leonardo e Fincantieri, che sono addirittura di proprietà pubblica. In attuazione dell’articolo 11 della Costituzione dovremmo sbarazzare la proprietà pubblica di questi due mostri, non cedendoli ai privati, ma convertendoli al civile. Come il sindacato diceva già negli anni ottanta del secolo scorso, l’obiettivo che dobbiamo prefiggerci è la riconversione dell’industria bellica. Sia Leonardo sia Fincantieri sono industrie ad alta tecnologia che potrebbero produrre attrezzature per la sanità, per la transizione ecologica, per i trasporti pubblici. I bisogni sociali e ambientali da soddisfare sono tanti: è per loro che dobbiamo usare le risorse e il nostro lavoro.

E questo mito capitalistico della produzione e della crescita a oltranza?

Per rendere le guerre accettabili si invocano valori altisonanti come la difesa della libertà e della democrazia. Ma spesso le vere ragioni vanno ricercate in ambito economico. Un punto cruciale riguarda le risorse perché il capitalismo ha come obiettivo la crescita. La volontà cioè di produrre e consumare sempre di più. Ma si dimentica che per produrre servono acqua, legname, minerali, terreni e molte altre risorse che sul Pianeta sono sempre più scarse.

Il capitalismo ha sempre imposto l’espansione economica e la produzione di armi e ordigni militari?

L’approvvigionamento di risorse è sempre stato un problema per il capitalismo. Lo era in passato e continua a esserlo oggi. Chi se ne garantisce il controllo si assicura la supremazia. Per questo il capitalismo ha sempre accompagnato l’espansione economica con l’espansione militare. L’unico modo per sbarazzarci delle guerre finalizzate al saccheggio è l’abbandono del consumismo a favore della sobrietà.

Che significa ripensare il nostro concetto di sviluppo, riportando l’idea di benessere nel perimetro di ciò che ci serve senza sconfinare nell’inutile e nel superfluo?

Un compito non semplice perché si scontra con le nostre pulsioni più profonde, ma con possibilità di successo se torniamo a dare il giusto valore alla sfera affettiva, sociale, spirituale e più in generale agli aspetti relazionali che la logica materialista tende a mettere in ombra.

Garantirsi risorse è il primo problema di tutte le imprese. Ma dopo aver prodotto, il loro problema è vendere, ossia avere un mercato, non solo a livello nazionale, ma addirittura mondiale perché l’obiettivo è guadagnare il più possibile.

La dottrina classica prevede che la conquista dei mercati, sia quelli nazionali che internazionali, debba avvenire tramite la concorrenza. Ma ciò non sempre è possibile e allora le imprese possono richiedere azioni di forza da parte dei propri governi, se necessario fino alle guerre. Anche la guerra in Ucraina ha un risvolto di questo tipo. La Russia si è comportata senz’altro da stato aggressore, ma gli USA e la Nato hanno fatto di tutto affinché avvenisse.

Fra i tanti interessi c’era la contesa dell’Europa come mercato del gas. Da decenni l’Europa aveva scelto la Russia come fornitore privilegiato di gas per la vicinanza geografica. Fino al 2000 agli Stati Uniti non importava, ma da quando sono diventati anch’essi grandi produttori di gas grazie alla tecnica del fracking, si sono ritrovati col problema di trovare a chi vendere il proprio gas. L’Europa poteva essere uno sbocco possibile, ma solo se si sganciava dalla Russia.

Varie sono state le strategie utilizzate per logorare i rapporti fra Russia ed Europa, la maggior parte passanti per l’Ucraina, che alla fine è stata trasformata in un teatro di guerra.

Oggi che Russia ed Europa si trattano come nemici, le forniture di gas da parte della Russia si sono inevitabilmente ridotte, con vantaggio per gli Stati Uniti che dal 2021 al 2023 hanno aumentato le proprie vendite di gas liquefatto all’Europa del 160%.
Finché produrremo armi continueremo a scatenare guerre perché le armi sono prodotte per essere vendute e usate.

Due iniziative che l’Italia potrebbe assumere per farsi costruttrice di pace sono la creazione dei Corpi civili di pace e l’istituzione del Ministero della Riconciliazione?

I Corpi civili di pace dovrebbero essere corpi non armati col compito di intervenire in zone di conflitto come forze d’interposizione per proteggere la popolazione, dissuadere le parti dall’uso delle armi usando come deterrente la propria presenza, prospettare alle parti soluzioni di pace. Il Ministero della Riconciliazione dovrebbe avere il compito di mantenere l’attenzione sulle zone più calde del mondo per valutare gli abusi commessi. Quindi esercitare tutta la pressione diplomatica possibile per farli cessare. Parimenti dovrebbe avviare ogni iniziativa di mediazione per fare parlare le parti in conflitto. Solo attraverso il dialogo si può giungere a soluzioni condivise per vie pacifiche.

In una società di massa a orientamento maggioritario, le sole posizioni che hanno qualche possibilità di farsi strada sono quelle che dimostrano di avere un alto consenso popolare?

Per questo è importante che la volontà di pace emerga in tutti i modi possibili. Non solo una tantum con manifestazioni e cortei ma tutti i giorni, sia con iniziative di carattere personale a visibilità pubblica, sia con campagne collettive capaci di fare emergere l’esistenza di un movimento che sa battersi per la pace esercitando tutta la pressione possibile sui centri decisionali. Fra le proposte avanzate nel dossier vi è quella di esporre simboli di pace per non dimenticare che il mondo è in guerra, di usare risparmi e penna per indebolire l’industria delle armi e gli eserciti, di tessere reti di pace nel proprio territorio.

Laura Tussi

Anche su Italia che cambia

 

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