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Una teoria sulla violenza

In democrazia la violenza, che nel caso degli scontri a Roma ha assunto le forme della rivolta – chiamarla rivoluzione è quanto di più ridicolo -, è diventata qualcosa di pornografico, da censurare anche solo concettualmente, e dalla quale è necessario dissociarsi. Un po’ come accadeva nel ‘600 per la stregoneria: se qualcuno la nominava, o quantomeno tentava di analizzarne le caratteristiche, rischiava di essere tacciato come eretico e finiva nel fuoco.

Della violenza non se ne può parlare mai se non quando, e solo in questi casi, la si deplora. Ma condannarla ipso facto non ci permette di capirne le cause, e soprattutto non ci dà la misura giusta per capire quando è utile e quando non lo è, perché se è vero che “non uccidere” è un valore universale e dunque assoluto, uccidere il tiranno è cosa lecita. Significa che chi afferma che “la violenza è sempre da condannare”, allora non potrà che condannare qualsiasi tipo di rivolta, da quella tunisina a quella egiziana, passando per quella siriana e, più in là nel tempo, quella partigiana, tutti movimenti rivoltosi che hanno liquidato dittature non certo attraverso una raccolta di firme. Ma ovviamente l’italietta puritana fa buon viso a cattivo gioco: condanna senza se e senza ma la violenza, qualsiasi essa sia, per poi tifare contro i tiranni, per la libertà e per l’esportazione della democrazia, che come tutti sanno non si esporta democraticamente, ma per mezzo della guerra.

Correnti di pensiero, in estrema sintesi, ci dicono che una violenza giusta è quella che tenta di instaurare un diritto nuovo contro il vecchio diventato ingiusto, come risposta ad una violazione di diritti.

John Locke, padre del liberalismo, già nel ‘600 ben si guardava dalla violenza come forma impronunciabile di tabù. Scriveva: chiedere come ci si possa proteggere dal danno o dall’offesa da parte del più forte è subito giudicato espressione di faziosità e rivolta, e riteneva che il diritto del cittadino alla ribellione fosse sacrosanto qualora il potere del governo diventasse dispotico.

Sancito che la violenza non è vero che è sempre da condannare perché a volte è necessaria – e la necessità non ha legge perché è più forte di qualsiasi legge -, bisogna chiedersi se la rivolta di sabato fosse opportuna.

Se non è vero che è finita con il rafforzare il potere del governo – sulla base di cosa si sostiene questo? -, e se non è vero che ha “ucciso” la manifestazione regina – un corteo già impotente come la maggior parte dei cortei -, è vero invece che è stata una rivolta fine a se stessa, inutile nella misura in cui non ha scosso quello che gli anarchici si aspettavano di scuotere. Anche perché una rivolta interna ad un unico sistema, come quello anarchico, contro un altro sistema di potere non fa che sostituire una ideologia con un’altra, uguale o contraria, cosa da cui oggi l’Occidente si deve ben guardare. Una rivolta, infatti, è tale se abbracciata da una intera comunità, o dalla sua stragrande maggioranza, e non da una sparuta e radicale minoranza.

Ma come non sono servite le violenze anarchiche, ancor meno può servire un corteo di persone che un giorno combatte un sistema per poi tornare il giorno dopo ad essere schiavo di quello stesso sistema. Sono 30 anni che in Italia si organizzano cortei, da 10 questi ultimi si riversano nelle piazze di Roma e delle grandi città contro i governi Berlusconi: i girotondini prima, il Popolo Viola poi, e oggi gli Indignati. È mai cambiato qualcosa? Un milione di persone in piazza andrebbero utilizzate meglio. Cito testualmente la blogger Debora Billi, che a mio modo di vedere ha più di tutti compreso l’inutilità di queste pseudo manifestazioni di protesta:

“Se non si fa la presa del Palazzo d’Inverno (…), il modello di battaglia di questa era è piazza Tahrir. Occupare in migliaia uno spazio, permanentemente, e tenerlo col ricambio delle presenze (tutti trovano un’ora o due giorni per andare a presidiare): allestendo tendopoli, chioschi, facendo assemblee, disturbando con flash mob, resistendo allo sgombero, facendosi arrestare. Da piazza Tahrir a Wall Street, sta funzionando bene e trova la solidarietà della popolazione, della stampa che non può fiatare e persino di qualche membro delle forze dell’ordine. Ma in Italia tale geniale idea non è venuta ancora a nessuno”.

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