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Il falò dei finti sgravi fiscali

Breve storia triste degli ultimi dieci anni italiani: "ridurre le tasse" (a deficit) alle famiglie solo per scoprire che il fiscal drag ha più che divorato il costoso ed effimero beneficio.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, watchdog indipendente delle omonime politiche, ha presentato il rapporto annuale, che illustra tendenze recenti e prospettive di economia e finanza pubblica italiane, oltre a contenere approfondimenti tematici. Quello di quest’anno è dedicato alla evoluzione della tassazione sulle famiglie e alla devastazione che il legislatore ha inflitto all’Irpef, tra bonus e flat tax, per ritagliarsi fette di elettorato volubile ed irriconoscente.

ILLUSORIO “TAGLIO DI TASSE”

UPB passa quindi in rassegna gli interventi dal 2014 ad oggi, a partire dal bonus 80 euro (Renzi),

[…] per sostenere il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti con salari medio-bassi, anche a fronte di una dinamica calante delle retribuzioni reali dei primi due quintili della distribuzione. Questo ha ridotto significativamente il prelievo per i contribuenti con redditi più bassi, producendo tuttavia forti irregolarità nell’andamento delle aliquote marginali, che raggiungevano un picco di circa l’80 per cento in corrispondenza dei redditi per i quali il bonus si riduceva rapidamente.

Tradotto: aliquota marginale effettiva ripidissima, che come tale esercita un potente disincentivo all’offerta di lavoro. Ma a parte ciò, di cui ho scritto all’epoca, sarebbe utile considerare che questo intervento, e tutti i successivi sino alla decontribuzione per gli under 35 mila euro lordi annui con cui il governo Meloni si accinge a impiccare la finanza pubblica, sono stati semplici pannicelli caldi per contrastare il sintomo (il calo delle retribuzioni) rispetto alla malattia (l’insufficiente sviluppo della produttività e la contrattazione collettiva).

Malgrado questa palmare evidenza, la politica di maggioranza pro tempore, in questi dieci anni, si è sempre esercitata nel lancio dell’Ansa e nei mini video di 30 secondi per i tg declamando scemenze del tipo “abbiamo ridotto le tasse”. Una truffa intellettuale (e non solo) di prima grandezza.

Al bonus Renzi hanno fatto seguito altri interventi, nel 2017, 2020 e nel 2021, dettati dall’esigenza di correggere le distorsioni sulle aliquote effettive, beneficiando
prima i contribuenti con livelli intermedi di reddito (tra 28.000 e 40.000 euro) e poi i
redditi oltre i 40.000 euro. Quelli “ricchi”, che come tali meritano il disprezzo del popolo stressato.

ENTRI IL FISCAL DRAG

L’esercizio di UPB va oltre, perché considera l’impatto del drenaggio fiscale (fiscal drag), causato dalla mancata indicizzazione all’inflazione di scaglioni e detrazioni/deduzioni. Esercizio ineccepibile, visto che conta il potere d’acquisto, grandezza reale, e non l’andamento nominale dei redditi. Per lunghi anni, a causa della crisi del debito e della pressione deflazionistica causata da essa ma anche dalla globalizzazione, la questione del fiscal drag è rimasta dormiente. Poi, negli ultimi tre anni circa, la fiammata inflazionistica l’ha riportata di attualità.

Quale è la conclusione dello studio di UPB? Che, prendendo a riferimento un dipendente senza carichi di famiglia, l’aliquota media si è effettivamente ridotta, rispetto al 2014, lungo tutta la distribuzione del reddito. Tuttavia,

[…] se si considera anche l’effetto del drenaggio fiscale, l’aliquota media aumenta per quasi tutti i livelli di reddito (solo per un breve intervallo di redditi immediatamente superiori a 30.000 euro si registra una riduzione dell’aliquota media che raggiunge il punto di aliquota). L’effetto negativo del drenaggio fiscale nei dieci anni considerati più che compensa l’effetto positivo determinato dalle modifiche normative.

Come è stata corretta, questa erosione dei redditi reali? Con una nuova ipoteca sulle entrate pubbliche: la decontribuzione per gli under 35 mila euro lordi annui. A livello aggregato, riguardo alle sole aliquote, tra il 2014 e il 2024 i lavoratori dipendenti hanno beneficiato di una riduzione dell’aliquota media del 3 per cento che è stata tuttavia più che compensata da un fiscal drag medio del 3,6 per cento. Amen.

Lo studio analizza anche la variazione di potere d’acquisto e gli effetti distributivi delle misure a sostegno delle famiglie con figli, che oggi avviene a mezzo dell’assegno unico e in passato attraverso una pluralità di istituti di welfare. La situazione corrente, segnala UPB, favorisce -correttamente- le famiglie più numerose. Quelle con più di tre figli beneficiano di un assegno più che doppio rispetto a quelle con figlio unico.

Qui le cose sono andate meglio rispetto al caso delle aliquote effettive per lavoratori senza carichi familiari:

[…] se si considera la perdita di potere d’acquisto realizzata nel periodo, il confronto in termini reali tra quanto percepito all’inizio e alla fine del decennio mostra una riduzione dei benefici compresa tra un minimo di 160 euro per le famiglie con più di tre figli e un massimo di 328 per quelle con un solo figlio.

Inoltre, grazie all’estensione dei trattamenti per il sostegno dei figli ai nuclei che
in precedenza non ne beneficiavano perché incapienti o non lavoratori dipendenti, il 20 per cento più povero delle famiglie riesce a conseguire un ulteriore miglioramento della posizione.

IL CARDINE DI TUTTE LE RIFORME FISCALI

Che dire, quindi? Che queste misure periodiche di aggiustamento, presentate come “riduzione delle tasse”, sono state divorate dal fiscal drag, a cui sono bastati un paio di anni di shock inflazionistico per bruciare un decennio di incrementi nominali. Le cose sono andate meglio per l’assegno unico per i figli, ma ricordiamo che queste sono voci che entrano nel bilancio dello stato come “prestazioni sociali in denaro”, il cui peso è inesorabilmente aumentato negli ultimi anni.

Inoltre, come detto, occorre considerare che queste modifiche alle curve di aliquota nominale sono state in prevalenza conseguite a deficit, quindi sono un ulteriore mattone al collo del paese. L’introduzione di un meccanismo di indicizzazione integrale di scaglioni d’imposta, detrazioni e deduzioni, che già un quindicennio addietro indicavo come “riforma” fiscale cardine di tutte le altre (oltre alla lotta allo svuotamento Irpef, che da allora è solo peggiorato), sarebbe comunque risultato costoso, visto che i governi si servono del fiscal drag per accumulare risorse fiscali. Vedasi anche l’uso del tutto patologico fatto dagli ultimi governi conservatori britannici. Salvo poi rilasciare qualche manciata di soldi in prossimità di scadenze elettorali e dire che “abbiamo ridotto le tasse” (vero, Sunak e Hunt?)

Soprattutto, e mi ripeto: usare la leva fiscale o parafiscale per aumentare i soldi in tasca a lavoratori in un sistema la cui produttività stagna da tempo immemore è una strategia di lento suicidio. Altro motivo per fare una approfondita riflessione sulla struttura della contrattazione collettiva. Ma che ve lo dico a fare?

P.S. A quanti obietteranno: “sì, ma non è stata aumentata l’Irpef ai redditi più alti”. La risposta è una sola: provate a verificare da quale reddito nominale parte l’aliquota marginale massima italiana, e da dove invece quelle francesi, tedesca, britannica. Oppure, verificate quale è l’aliquota Irpef di questi paesi in corrispondenza di 50 mila euro, la soglia da cui parte la nostra aliquota marginale massima del 43 per cento e poi ne riparliamo, d’accordo?

  • Aggiornamento del 20 giugno: anche la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio fa notare, pacatamente e sommessamente, che forse per proteggere e migliorare il potere d’acquisto dei lavoratori gli sgravi fiscali e contributivi non appaiono lo strumento più idoneo.
Questo articolo è stato pubblicato qui

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